Quali sono le caratteristiche del Negroamaro? Da sempre è considerato un’uva da taglio, un vino di serie B. Un’uva che va bene solo per dare mosti ricchi di polifenoli e alcool. Un vino rustico, anonimo, senza etichetta e senza connotazioni, da taglio, cisterne, damigiane, brocche e osterie. Ecco invece il Negroamaro come non lo avete mai visto, raccontato da chi ha avuto la fortuna di conoscerlo da vicino.
Breve storia del Negroamaro del Salento
A corroborare questa opinione fu – a partire dalla fine dell’800 – la più grande catastrofe enologica della Francia: la filossera. Un insetto che distrusse quasi il 100% dei vitigni Francesi e, in seguito, quelli di tutta Europa. Si salvarono la Puglia e il Salento che divennero il “vigneto d’Europa” e i principali esportatori di vini d’Italia.
Proprio per agevolare queste esportazioni, dopo la metà del XIX secolo in Salento sorsero moderni impianti per la pigiatura delle uve e la vinificazione in prossimità della ferrovia. Gli scambi commerciali puntarono in particolar modo sul vitigno Negroamaro in un’ottica di produzioni massive e tralasciando la qualità. Questo trend continuò e si intensificò dopo l’unità d’Italia con un massiccio invio di vini anche verso il nord Italia.
Questo pezzo di storia non rende purtroppo il giusto merito al Negroamaro che è un vitigno dalle origini nobili, antiche, conosciuto già dai Fenici e dai Greci. Uno dei vitigni che già ai tempi degli antichi romani veniva descritto come vino di qualità insieme all’altro vitigno salentino il Primitivo.
Negroamaro e le zone vitinicole
Dal 1970 il Negroamaro è iscritto nel Catalogo Nazionale delle Varietà di Vite con codice n. 163 e la sua coltivazione è autorizzata nelle province di Bari, Brindisi, Foggia, Lecce e Taranto. Il Negroamaro è attualmente l’uva a bacca nera più coltivata in Puglia e l’ottava varietà più diffusa in Italia.
Ma ancora oggi i pregiudizi non mancano nonostante negli ultimi 4o anni si siano fatti grandissimi passi avanti e, specialmente negli ultimi 20 anni, l’enologia Salentina abbia iniziato a valorizzare le migliori caratteristiche del Negroamaro ottenendo premi ovunque nel mondo. Eppure, ancora manca quel quid che possa dare credito e reputazione al Salento enologico.
Caratteristiche che, invece, danno valore ad alcune regioni come quelle di Médoc a Bordeaux, Ribera di Duero tra Castiglia e León, delle Langhe in Piemonte e Montalcino in Toscana.
I vitigni come il Cabernet e il Merlot, il Tempranillo, il Nebbiolo e il Sangiovese evocano e portano subito alla mente racconti epici di bevute romanzesche di vini centenari, eternamente giovani, ed immortali.
Le caratteristiche del Negroamaro
Detto ciò, cosa manca al Salento e a un vitigno come il Negroamaro per entrare nel gotha del vino mondiale? Certo è un vitigno versatile, regale, capace di regalare – sotto mani esperte – alcune tra le migliori espressioni del vino rosato al mondo. Inoltre, il Negroamaro sa esprimersi nei rossi giovani come pochi altri vitigni al mondo, donando vini sapidi, acidi, armonici di grandissima beva capaci di offrire profumi equilibrati di frutta rossa, insieme a tante spezie e erbe mediterranee. Con i suoi tannini così tenaci e difficili da domare ma che sanno regalare una lunghezza ed una salivazione che porta a chiedere di degustarne ancora. In ultimo, l’ecletticità del Negroamaro ha reso possibile con buoni risultati persino la vinificazione tramite metodo classico con produzione di ottime bollicine in bianco ed in rosato.
Quali prospettive per il vino Negroamaro?
Ma la longevità è una delle caratteristiche del Negroamaro? I vini d’annata dove sono? Quanto può invecchiare un Negroamaro in bottiglia? Purtroppo la tradizione Salentina non si fonda sulla creazione e il mantenimento di cantine private in grado di sfidare il tempo, così come è difficile trovare bottiglie d’annata anche nelle stesse cantine produttrici. Qui, in Salento, il vino è sempre stato rosato e i vini rossi si sono sempre bevuti con piacere, ma sempre come vini giovani.
Invecchiamento del Negroamaro in bottiglia
Ora non so dirvi quante verticali a base di Negroamaro negli ultimi 20 anni siano state fatte nel mondo. Quante bottiglie con più di 20 anni sulle spalle siano state oggetto di studio e degustazione da parte di esperti, professionisti del settore o anche da semplici appassionati. Credo però che in pochi abbiano abbattuto la frontiera degli anni 2000 e sicuramente in pochi, se non nessuno, è arrivato fino a sfiorare il quarto di secolo in bottiglia, neanche con etichette salentine blasonate e appartenenti alla fascia alta della produzione enologica Salentina.
Sull’onda di queste riflessioni è nata l’idea di effettuare un esperimento: dimostrare come con il Negroamaro – anche in un vino all’apparenza insignificante, poco costoso, semi sconosciuto e sicuramente inatteso – fosse possibile certificare un’ evoluzione in bottiglia degna solo di veri mostri sacri dell’enologia mondiale. Probabilmente penserete che sia folle e impossibile. Ebbene, a volte la fortuna e le circostanze vengono in soccorso degli audaci.
L’esperimento ha così preso vita a Guagnano, nell’azienda Cantine Leuci (che io amo particolarmente) ospiti di uno dei produttori di vino Salentino tra i più autentici e appassionati che io conosca. Proprio qui abbiamo potuto testare una bottiglia di vino di Terre Guaniani , un vino che all’epoca della sua vendemmia, ovvero il 1997, costava 5 mila lire e che oggi – essendo ancora in produzione – tocca la cifra record dei 6 €.
Terra Guaniani 1997 e i suoi 24 anni in bottiglia.
Il breve racconto che segue – riepilogo di questa avventura – è opera di uno dei protagonisti presenti: Alfredo Polito (alfredopolito) profondo conoscitore dei vini del Salento, giornalista de La Repubblica, contributore alle guide dell’Espresso e autore del libro La Guerra del Vino.
Mi accoglie Francesco, grande cortesia sobria, quasi dimessa. E mi svela subito che l’annata 1997 è quella in cui aveva deciso di produrre vino con una sua etichetta, un po’ contro il volere del padre che faceva, come tanti in quegli anni, un ottimo vino da taglio. Un mite e studioso ventitreenne ancora nemmeno laureato che decide di fare il grande passo. “Ma in realtà questo vino lo ha fatto mio padre”, racconta Francesco descrivendo l’eterna dinamica padre-figlio. È il suo vino del cuore.
È il nostro giorno fortunato. Il vino si è conservato benissimo. È incredibilmente vivo, bello tonico e affascinante. Una specie di Bruce Springsteen non sbronzo. Lo abbiamo aperto meno di un’ora prima. Troppo poco. Il naso è chiuso. Ficco il naso nel bicchiere 20 ore dopo (sì, il resto della bottiglia ho avuto l’onore di portarmelo a casa) e sento l’essenza del Negroamaro, la sua anima.
Un richiamo ancestrale, irrazionale, alla mia terra, a tutto il mondo contadino nel quale la mia generazione ha avuto, per ultima, la fortuna di crescere. La macchia mediterranea è quella delle campagne del Salento, ma anche quella delle dune di Porto Cesareo. La frutta è di uva, ciliegie e e amarene sottospirito, tale e quale a quelle che facevano una volta le nonne salentine, tenendole nel boccaccio. E poi il cuoio delle cinture dei pantaloni e delle selle, e il caffè appena macinato col macinino, e quell’inconfondibile profumo di mandorla verde, appena colta, che si sprigiona quando ne rompi la buccia. Cristo, mi sembra di aver vissuto ottant’anni.
Ma non c’è dubbio. Il Negroamaro è un grande vino da invecchiamento. Anche quando, come questo di Lucio Leuci, ha fatto solo cemento in vasche, nemmeno vetrificate. O forse anche grazie a questo, chi lo sa.” _ Alfredo Polito_
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